Il Territorio di Ricadi
Il comune di Ricadi fa parte del comprensorio di Capo Vaticano, si compone di sette centri abitati: Ricadi, Santa Domenica, San Nicolò, Brivadi, Orsigliadi, Lampazzone, Barbalaconi, Ciaramiti e alcuni agglomerati abitativi come Torre Marino e Santa Maria. Il suo territorio ha una superficie di 2.200 ettari e ben 12 chilometri di costa di straordinaria bellezza. Il comprensorio di Capo Vaticano è conosciuto in tutto il mondo per le sue spiagge, i suoi panorami e la ricettività turistica, seconda in Italia dopo Rimini. Capo Vaticano ed il territorio di Ricadi si trovano sulla parte estrema del promontorio, posto tra il Golfo di Lamezia e quello di Gioia Tauro.
Oltre alle tante spiagge sono da visitare:
Il museo della civiltà contadina, sito presso il Centro Congressi “G. Berto” di Ricadi;
Il Belvedere di “Praia di fuoco”, dal quale si gode la spettacolare vista delle rupi strapiombanti del Capo e le spiaggette sottostanti;
Il Belvedere del Capo di fianco al faro, da cui è possibile dominare la Baia di Grotticelle, il massiccio del Poro, la Costa Viola e lo Stretto di Messina;
La Torre Marrana, antica torre di avvistamento del XVI secolo;
Il mulino ad acqua del 1700 ancora perfettamente funzionante, sito a Lampazzone:
I centri storici e le chiese dei vari paesi, esempi di arte.
Cenni storici sul comune di Ricadi
Il territorio di Ricadi è collocato sulla costa occidentale della Calabria, alla base dell’altopiano del Poro, sul promontorio di Capo Vaticano.
Per la sua posizione geografica, il clima, l’amenità del paesaggio e delle redditizie campagne, fu abitato fin dai tempi più remoti. «… Non credo esista in alcun luogo un paesaggio più ameno e più ricco; le innumerevoli passeggiate, la grande varietà dei dintorni, e la mitezza del clima…». Così Henry Swinburne (1778) descriveva il territorio dell’attuale provincia di Vibo Valentia.
Fu dimora fin dall’epoca preistorica, come testimoniano i vari ritrovamenti archeologici. Lasciarono le loro tracce gli Elleni, i Cartaginesi, i Romani, i Saraceni, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi e i Borboni.
Nel 1537 don Pedro de Toledo, Vice Re di Napoli, fece costruire, a difesa dalle incursioni saracene, una serie di Torri di Guardia che, disposte lungo la costa, servivano ad avvisare le popolazioni del pericolo in arrivo. Oggi rimangono ancore le strutture deteriorate dal tempo della Torre Ruffa, nel territorio della frazione San Nicolò, della Torre Marrana, nel territorio della frazione Brivadi, della Torre Balì, nel territorio della frazione Santa Domenica, dove abitava il comandante di tutte le torri vicine e dove vi era l’occorrente per organizzare la difesa. «Queste torri furono in numero di 366, una a veduta dell’altra nelle quali stanziavano due uomini forniti d’armi per impedire in quanto fosse delle lor forze lo sbarco dei corsari barbareschi e, di notte, ad avvisare con fuochi gli uni, affinché gli abitanti dei paesi vicini venissero avvisati essere il mare ingombro di corsari e ch’era necessità di mettersi in salvo». (Scrugli, Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea, Napoli, 1891).
A questo periodo storico si fa risalire un racconto popolare narrato dal noto agiografo Barone. «… Eransi le galee, o fuste di Tunisini, in conserva di altri legni pur turcheschi, di notte tempo nascoste sotto una punta, che sorge in mare, nel luogo detto le “Formicole” dai paesani, guastone il vocabolo antico e suo proprio di Forum Herculis. E così chiamavanlo a cagione di una famosa fiera, ivi solita a bandire in honor di Hercole, che quivi da presso in un magnifico tempio, e per gli oracoli, che ivi si davano, celebratissimo, era da Tropeani adorato qual proprio dio del paese e primo fondatore e padre della città. Hor attendendo i Barbari l’opportunità di qualche preda, s’avvidero sopra una vicina collinetta di molti lumi et accese faci: e saggiamente giudicarono di qualche villaggio e di molta gente quivi raccolta, verso colà, per brama di qualche bottino, cheti s’incamminarono. E tanto nel villaggio, che con greca voce Ciaramiti chiamano, quanto di molta gente accortavi tutto era vero: che a quell’hora a lume di fiaccole ardenti, et a cielo aperto, si festeggiavano con balli e canti le nozze di due paesani e senza nulla temer di disastroso, lietissimi. Quando improvvisi furo loro sopra i Turchi e tutti, huomini, donne, fanciulli e fanciulle, che parte ballavano, parte assistevano al ballo, a man salva gli hebbon schiavi, e tra essi anche i due sposi, gravati a un tempo da due legami, da quel del matrimonio e da quei della schiavitudine…».
La vicina cittadina di Tropea ebbe per secoli il dominio sul territorio circostante, i cui 23 villaggi furono “Casali di Tropea”. Ciò fino al 1799, quando il generale francese Championnet, nel dare un assetto amministrativo alla regione, includeva Ricadi nel Cantone di Tropea. Con decreto 19 gennaio 1807, Giuseppe Napoleone, re delle Due Sicilie, fece di Ricadi un Luogo ossia Università e nel 1811, con decreto del 4 maggio, elevò Ricadi a Comune autonomo fino al definitivo assetto del territorio comunale, avvenuto ad opera dei Borboni, che suddivisero la Calabria in Province, Distretti e Governi. Ricadi fu assegnata alla Provincia della Calabria Ulteriore, Distretto di Monteleone (oggi Vibo Valentia), Governo di Tropea. A Ricadi vennero assegnati quindi i paesi di Lampazzone, Barbalaconi, Orsigliadi, Brivadi, San Nicolò (che si trovano a sud della Fiumara Vaticana o della Ruffa), Ciaramiti e Santa Domenica, il più popolato di tutti, a distanza di circa 8 chilometri dal paese di Ricadi.
Il Comprensorio di Capo Vaticano è ricco di tracce di antichi insediamenti umani, alcuni venuti alla luce grazie all’interessamento della sovrintendenza alle antichità, altri clandestinamente, molti altri ancora risiedono nel sottosuolo. Nel 1975, in località Santa Maria, furono rinvenute le mura perimetrali di un nucleo abitato del quale sono state individuate tracce in residui di edifici adibiti a templi e in una vasta necropoli dalla quale sono stati prelevati reperti di notevole interesse. Nel 1987, sempre in località Santa Maria, gli scavi eseguiti hanno evidenziato un vasto insediamento del IV-III secolo avanti Cristo con residui di ville d’epoca romana e una fornace con un deposito di anfore granarie in grandissima quantità. La rilevazione che le anfore sono tutte dello stesso tipo ha fatto dedurre che qui ci fosse l’imbarco di prodotti locali (soprattutto cereali).
Molti altri reperti, dalla preistoria all’età greco-romana, sono stati rinvenuti e conservati nei musei di Reggio Calabria e di Nicotera, mentre una notevole quantità di cocci rimangono disseminati su tutto il territorio.
Nel 1977, in Contrada Bagneria di Santa Domenica, venne scoperta una necropoli di tombe a “Grotticelle”, attribuibile cronologicamente all’età del bronzo antico (XVI secolo avanti Cristo).
I numerosi ritrovamenti in Santa Domenica fanno pensare che la zona era tra le più densamente abitate nella Preistoria (età neolitica).
Il primo, fra gli scrittori calabresi, che ha fatto cenno del villaggio di Santa Domenica fu Gabriele Barrio da Francica nella metà del XVI secolo in “De situ et antiquitate Calabriae”. Lorenzo Dardano, contemporaneo del Barrio, racconta come fu attaccato il villaggio di Ciaramiti. Oltre al Barrio danno testimonianza i cronisti Crescenti, Fazzari, Sgambati ed altri.
«Dalla piccola città i più fervidi cultori della nostra sacrosanta Religione, si riversavano nelle piccole amene, solitarie, pacifiche campagne circostanti, costituendo piccoli centri abitati, case rurali, ville, come appendice, con alternata dimora. A questi piccoli centri non s’era appropriato ancora un nome, e si diceva: San Sergio di Tropea, territorio di Drapia, S. Angelo di Tropea, territorio di Gasponi, Porto Ercole di Tropea, territorio di S. Domenica. Il Largo Barone, la chiesetta S. Anna, i pilastri e l’arco d’un grandioso portale nel campo Pissione, sono testimoni della predilezione di famiglie patrizie tropeane per questo lembo di terra, baciato dal mare. Tradizione costante addita le tenuta Pissione fra i beni dei martiri Doroteo ed Arsenia, fortunati genitori di Domenica. L’animo si ferma a mirare il panorama incantevole, la mente rievoca la nascita ed i primi anni di Domenica, fissando in estasi d’amore l’impronta del virgineo giovane piede, conservata tuttavia nel pozzo, da cui zampilla, limpida e fresca, l’acqua del miracolo. A poca distanza dal pozzo i ruderi della prima Chiesa e del Cenobio». (Ughelli, Italia Sacra).
Che Portercole sia esistito non vi è dubbio. Ne parla Strabone, vissuto quindici anni dopo Cristo e Plinio, vissuto 75 anni dopo Cristo. Lo affermano anche scrittori posteriori come Berinotti, Marafioti ed altri ancora. Non si ha però certezza del tempo della fondazione. Alcuni scrivono che sia stato fondato dagli Ausoni, dagli Enotri, dai Brezii Aprustini, dagli Osci. Altri ritengono invece fondato da Ercole allorquando venne con navi ed eserciti a liberare l’antica Italia. Portercole avrà avuto i suoi templi come quelli di Calliope e Clio, dei quali la filologia conserva ancora il ricordo nei nomi di Cagliope e Crivo, come pure, secondo alcuni archeologi subacquei, si conservano ancora i ruderi nel mare antistante la spiaggia di “Formicoli”. Si ritiene inoltre, al contrario da quanti hanno affermato che Portercole e Tropea fossero la stessa città, che siano stati invece due luoghi diversi. Leandro Alberti scrive: «Vicino a quella città (di Tropea) al tempo di Strabone era Porto d’Ercole, così nominato da Plinio» ed il Marafioti: «Poco lontano da Porto d’Ercole, volgarmente detto le Formicole, c’è Tropea, città nobilissima ed antica». Questa tesi sarebbe avvalorata dall’esistenza della località “Formicoli” di Santa Domenica, a tre chilometri da Tropea, che il Barrio traduce in Forum Herculis in quanto i Romani davano il nome di Foro a tutti i luoghi di commercio. Rafforzata dall’esistenza di un grosso anello conficcato nei ruderi presso Formicoli; della località vicina detta “Cagliope”, corruzione del tempio di Calliope; del paese di Ciaramiti, antico Choramentum, dove venivano inumate le salme degli abitanti di Portercole; della presenza, nella vicina Ciaramiti, di un'antica fornace per la fabbrica, fra l'altro, di anfore e vasi utilizzati per l'olio ed i cereali inviati via mare verso altri lidi: opinione questa riportata anche da P. Sgambati; del ritrovamento, nel corso degli anni, di vasi, lucerne, lapidi di mattoni, monete di Reggio, di Siracusa e di Turio.
Diverse e varie sono comunque le opinioni degli storici sull'epoca e sul fondatore di Portercole, ritenendo alcuni fosse stata fondata da Scipione, da Pompeo o da Ottavio: Costantino Lascari, Tommaso Aceti, il Muratori, Enrico Bacco, Luca Holstenio, Giano Parrasio, Svetonio Tranquillo, P. Criscenti, Francesco Grimaldi, etc.
La Chiesa di Sant'Anna nella frazione Santa Domenica
«S'ignora quando fu edificata. Per tradizione era Chiesa propria gentilizia, della nobile famiglia Barone di Tropea. Ne fece donazione alla Parrocchia in data certamente anteriore al 1751. Il Parroco Giuseppe Antonio Costa da Parghelia, che prese possesso il 1° ottobre 1751, minuzioso nella compilazione dei Libri Canonici, nel libro dei morti del 1751-1756-1772, fa menzione della Chiesa di S. Anna come Chiesa filiale... In questa Chiesa è eretta la Congregazione delle anime del Purgatorio. Dalla date del Regio assenso di Ferdinando II, Re delle due Sicilie, del 9 agosto 1777, si deduce chiaramente che fu eretta per volontà e cooperazione del Parroco Giuseppe Antonio Costa, morto il 20 maggio 1778». (D. Pasquale Loiacono).
Uomini illustri
Giuseppe Antonio Ruffa (1754-1816). Studioso di filosofia e appassionato di ricerche matematiche e naturalistiche. Fu maestro di Pasquale Galluppi (1770-1846) noto filosofo di Tropea. Il Galluppi, nelle Note Autobiografiche, così ricorda il maestro: «Dopo lo studio della lingua latina, secondo il metodo di quel tempo in Tropea, nell’età di anni tredici andai ad apprendere gli elementi della filosofia e della matematica alla scuola di D. Giuseppe Antonio Ruffa, che in quel tempo insegnava queste scienze con successo in Tropea. Quest’abile maestro mi pose in mano la Logica italiana dell’abate Genovesi, e gli elementi di Geometria di Euclide; egli seppe imprimere nell’animo mio la più forte passione per le filosofiche e matematiche discipline, in modo che vedendo io ancor oggi i due libri, dai quali principiò il mio corso di studi, provo una certa commozione».
Agostino Petracca (1829-1883). Pittore, di cui si conservano tre opere in Ricadi, una in Caria e altre in Mileto.
Giovambattista Petracca. Poeta e letterato.
Giuseppe Berto. (1914-1978). Scrittore. Pur non essendo nato a Ricadi, qui ha vissuto facendone la sua seconda patria fin dal 1956, quando, per caso, conobbe la bellezza ancora selvaggia dei luoghi e dei paesaggi mozzafiato. «Questa è la terra alla quale, appena la vidi, capì di appartenere… sembrava di aver messo le mani su di un tesoro; bellezza, solitudine, pace...».
«Qui mi costruirò con le mie mani un rifugio di pietre e avrò intorno un pezzo di terra per farne un orto, non molto grande naturalmente perché non ho la forza nelle braccia che troppo poco conoscono la fatica; e penso che in conclusione questo potrebbe andare bene come luogo della mia vita e anche della mia morte…».
«Appena la vidi, seppi che quella terra dalla quale si scorgevano quelle magiche isole era la mia seconda terra, e qui sono venuto a vivere. Sto su di un promontorio alto sul mare, una punta di granito troppo vecchio che si sfalda precipitando, tempeste improvvise vi portano a sbattere venti selvaggi, qualche volta freddi, quando vengono dal nord, e qualche volta caldi, quando arrivano dall’Africa vicina. Conosco il lungo cammino che il sole fa in un anno spostando il punto del suo tramonto: il 12 agosto scende giusto nel cratere dello Stromboli, il 23 settembre sparisce dietro la punta più alta del Vulcano, e poi mentre l’inverno si approfondisce a mano a mano sposta la fine delle giornate sempre più corte verso la sottile striscia di Milazzo, finchè a gennaio riprende la sua strada verso settentrione arrivando nel pieno dell’estate a sparire la sera tardi molto più a nord dello Stromboli.
Nelle giornate particolarmente limpide ho due vulcani nel giro dei miei occhi: lo Stromboli di fronte e l’Etna sulla sinistra, imponente pur nella sua grandissima lontananza.
A nord ho l’aperto Golfo di Sant’Eufemia con sullo sfondo le montagne sopra Amantea e sopra Cetraro e forse anche sopra Praia, dove sono già Basilicata. A Sud ho il raccolto Golfo di Gioia, chiuso dalla catena appenninica che si eleva nell’Aspromonte subito prima di rompersi nella spaccatura dello Stretto.
La notte, tutta la sponda di fronte è una catena di luci, sempre più luci e sempre più vive, perché i paesi s’ingrandiscono, si distendono sulle rive, si arricchiscono di lampade al neon, luci lungo tutto un arco lunghissimo che termina nel lampeggiare stanco del faro di Milazzo. In mezzo battono con ritmi diversi le luci dello Stretto, i fari bianchi di Scilla e di Messina, le lampade rosse dei porti e dell’elettrodotto.
E’ un panorama stupendo. E quando di giorno dalla punta del mio promontorio guardo gli scogli e le spiaggette cento metri sotto e il mare limpidissimo che si fa subito blu profondo, so di trovarmi in uno dei luoghi più belli della Terra. Spesso, stando lì a guardare, arrivo a dimenticarmi di dove sono, tanto completamente mi appago di quella bellezza e del pensiero senz’altro egoistico ch’essa è mia, mi appartiene».
Berto muore a Roma il 1° novembre 1978. Per sua volontà è sepolto a Capo Vaticano.
|